A poche ore dall’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York, possiamo affermare che il dibattito sul sex work è tornato, finalmente, ad avere un ruolo centrale nei media internazionali.
Troppo spesso, infatti, il tema del lavoro sessuale e delle connesse istanze di chi lo esercita rimangono silenziati, quando non considerati argomenti tabù. Laddove riescono a trovare spazio pubblico all’interno del dibattito politico o sociale di un determinato paese, il linguaggio utilizzato, le semplificazioni estreme e lo stigma che circonda il fenomeno, lo riducono, troppo spesso, a mere “chiacchiere da bar".
Per questo la notizia che il neo eletto sindaco sia apertamente favorevole ad una decriminalizzazione del sex work - ad oggi illegale nella città e nello stato di New York, come nella quasi totalità degli Stati Uniti, sia per chi esercita che per la clientela - e che ne abbia fatto bandiera di orgoglio nel corso della sua campagna elettorale è da salutare con una certa soddisfazione.

E questo perché il tema - per una volta! - non è caduto nel girone delle facili tifoserie ma, viceversa, ha generato un dibattito aperto e vivo, arrivando a toccare, addirittura, l'approccio della decriminalizzazione, ossia l’eliminazione, senza una stretta regolamentazione delle autorità, di tutte le sanzioni penali e amministrative relative alla vendita e all'acquisto (consensuale e tra adulti) di servizi sessuali. In sostanza ciò che da tempo le associazioni di sex worker e le realtà loro alleate sostengono e richiedono ai governi in tutto il mondo.
Un dibattito scaturito, peraltro, nella città che fino all’inizio del secolo scorso era considerata “la capitale” del sex work, che negli anni ’70 e ’80 intraprese una vera e propria guerra contro la prostituzione nel tentativo di “ripulire” la sua immagine di centro di iniquità e vizi; un dibattito oggi riacceso, appunto, dall’ultima corsa elettorale e, ancora prima, dalla proposta della senatrice dello stato di New York Julia Salazar che, sei anni fa, presentò un disegno di legge per depenalizzare il lavoro sessuale, il primo di questo tipo proposto a New York.
Ma perché parlare di sex work oggi è importante? Per rispondere a questa domanda, è utile partire da una premessa.
Il punto di partenza per capire perché questo tema dovrebbe essere ben lontano dall’essere considerato “di nicchia” è che il fenomeno del lavoro sessuale ha vissuto, ovunque nel mondo, profondi cambiamenti con il mutare delle strutture sociali ed economiche, degli ordinamenti giuridici, dei costumi, delle visioni politiche.
Ad occhi attenti, il sex work interessa, infatti, molteplici aspetti fondanti di una società: dal lavoro al ruolo della sessualità, passando per l’economia. Allo stesso tempo rivela i valori propri di una collettività in un determinato momento storico rispetto, ad esempio, all’ampiezza degli spazi di libertà e di autodeterminazione offerti dal potere ai propri cittadini e alle proprie cittadine e allo stato della giustizia sociale in termini di uguaglianza di genere, rimozione delle discriminazioni e contrasto alla violenza.
Parlare di sex work oggi significa allora, e necessariamente, riflettere attorno a rapporti di genere, diseguaglianze, ruoli di potere e sessualità. Significa comprendere che tipo di società abbiamo di fronte, quale luogo stiamo abitando.
E’ per tutto questo che occorrerebbe parlarne di più e meglio.
Ogni Paese adotta modelli legislativi differenti per regolamentare o punire il fenomeno, che possono variare notevolmente anche all'interno dello stesso stato (come avviene appunto negli Stati Uniti) e che sono influenzati dai più disparati elementi culturali, ideologici, religiosi, giuridici e politici, portando a conseguenze molto diverse. Studiarli, trattarli, conoscerli e dibatterne significa - in sostanza - andare alla radice delle tradizioni, delle visioni politiche e culturali alla base delle scelte di un determinato paese.
Ma significa anche tentare di tracciare una linea netta di distinzione tra prostituzione (o meglio tra “prostituzioni”, al plurale, alla luce della varietà di lavoro sessuale oggi rintracciabile: da quello su strada a quello in appartamneto, dai night club ai centri, dalle call erotiche alle cam e così via) e sfruttamento.

Nessuno vuole negare che lo sfruttamento all’interno dei mercati sessuali non esista (sul ruolo che assume e sulle non verificate percentuali che vengono fatte circolare ci sarebbe tuttavia molto da dire), sarebbe profondamente sbagliato da sostenere. Ma la complessità del tema richiede che l’approccio allo stesso sia accurato e preciso, non fazioso.
Sul punto, come riporta il Sex Workers in Europe Manifesto - un documento presentato nell’ottobre 2005 a Bruxelles da oltre 120 sex worker provenienti da 24 paesi europei e che rappresenta una pietra miliare delle rivendicazioni sul tema -, “l’alienazione, lo sfruttamento, l’abuso e la coercizione esistono nell’industria del sesso, come in qualunque altro settore industriale.
Essi tuttavia non definiscono noi o la nostra industria. Tuttavia, solo nel momento in cui il lavoro viene formalmente riconosciuto, accettato dalla società, si possono stabilire limiti, sol quando i diritti del lavoro vengono riconosciuti e applicati i lavoratori e le lavoratrici saranno nelle condizioni di denunciare gli abusi e organizzarsi contro condizioni di lavoro o uno sfruttamento inaccettabili”.
Lo sfruttamento può riguardare ogni ambito lavorativo. La circostanza che però appaia peggiore, maggiormente “immorale”, quando si tratta sex work è sintomatico del tabù sociale attorno ai temi del sesso e delle sessualità.
Così come la narrazione unica della sex worker o vittima o famme fatale è pericolosa, perché priva le esperienze singole di significato e comprensione, appiattendole.
Su questo Georgina Orellano, attivista per i diritti delle sex worker in Argentina, dice chiaramente in un’intervista per Revista Noticias: "Le narrazioni che sono state costruite intorno a noi riguardano la 'bella donna' che aspetta che il suo principe azzurro le cambi la vita o la povera donna che ha bisogno che lo Stato la salvi". Per lei, e per il sindacato che presiede come segretaria, l’Asociación de Mujeres Meretrices de Argentina, la prostituzione è, né più né meno, un lavoro come un altro.
C’è poi un altro motivo, forse il principale, per cui dovremmo occuparci, tutti e tutte, di sex work.
Le violazioni di diritti umani alle quali oggi nel mondo vanno incontro le persone che esercitano lavoro sessuale sono innumerevoli e comprendono violenza fisica, sessuale e verbale, detenzioni arbitrarie, estorsioni, intimidazioni, traffico di esseri umani, obbligo di sottoporsi a controlli medici.
Data la generalizzata ed erronea correlazione del lavoro sessuale allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani, le reali cause di violenza contro le persone sex worker rimangono spesso ignorate in seno ai dibattiti che determinano le politiche pubbliche. E a causa del fortissimo stigma attorno a questo tema, le persone che esercitano vengono troppo spesso escluse dall’assistenza sanitaria nel paese in cui dimorano, dall’accesso all’edilizia pubblica e da altre protezioni di tipo sociale e giuridico.
Secondo il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute (CDCP), presieduto da Pia Covre, in Italia i reati contro le lavoratrici sessuali sono in aumento, in linea con una società sempre più violenta e predatoria nei confronti delle donne. A questo si aggiunge il triste fenomeno della vittimizzazione secondaria delle vittime di reato sex worker, che si concretizza quando media, sentenze e narrazioni pubbliche colpevolizzano la vittima alla luce del lavoro svolto.
Le scelte normative e politiche che un paese compie in materia di sex work hanno allora un impatto enorme, e diretto, sui diritti umani di migliaia di persone.

Il nostro paese, dal punto di vista delle scelte politiche, vive in un limbo. In base alla Legge n. 75 del 1958, la cosiddetta “Legge Merlin”, esercitare lavoro sessuale in Italia non è illegale, ma non è nemmeno attività riconosciuta come lavoro, circostanza che non solo la rende del tutto priva di diritti e di tutele per chi esercita ma anche in qualche modo circondata da un giudizio di immoralità. Peraltro, sono tantissime le condotte punite dalla legge in questione ma che, nei fatti, servono a rendere il sex work più sicuro per chi lo pratica (come il mutuo aiuto) o le sanzioni amministrative che, a livello locale, puniscono con multe salatissime clienti e sex worker.
Ad oltre 60 anni dall’introduzione della legge Merlin, alla luce dell’esperienza nazionale, dei modelli internazionali, dei cambiamenti intervenuti in questo settore e dei contributi offerti dalle tante organizzazioni di sex worker, diviene quindi urgente riaprire il dibattito su questo tema, anche nel nostro paese.
Un dibattito che sia ampio, aperto e scevro da tabù, che metta al centro le voci di chi esercita e di chi si occupa del tema e che miri, anzitutto, a rimuovere la cappa di stigma e disinformazione che ancora impedisce che al riconoscimento di libertà sessuali si possano (e si debbano) accompagnare diritti, legittimazioni e tutele. Un dibattito, in definitiva, che si ponga l’obiettivo culturale e legislativo di arrivare a riconoscere pienamente una scelta, riducendo i costi sociali connessi ad un fenomeno che non è possibile nascondere, vietare o cancellare per legge.