La prostistuzione in Italia è legale ma non regolamentata. Questo significa che, nonostante sia possibile esercitare la professione di escort, non esiste però una regolamentazione in materia. Infatti, se da un lato è chiaro quali siano i comportamenti illegali, non è chiaro invece quali siano i diritti e i doveri di chi sceglie di svolgere il lavoro più antico del mondo.
Un dibattito lungo decenni e una normativa antiquata: la zona grigia
Nella storia della normativa italiana in merito alla prosituzione, sono due i passaggi da ritenere cruciali: il sistema delle “case chiuse” in vigore fino agli anni ‘50 e la Legge Merlin del 1958 (e ancora in vigore).
La Legge Merlin prende il nome dalla senatrice Lina Merlin, promotrice di una battaglia parlamentare durata dieci anni e conclusasi il 20 febbraio 1958. Il testo abroga definitivamente le case di tolleranza, istituzioni statali che regolavano e tassavano l’esercizio della prostituzione, e rende reato l’apertura, la gestione e il favoreggiamento di “case di prostituzione” sul territorio nazionale. Tuttavia, la Legge Merlin non vieta la prostituzione in sé, ma mira esclusivamente a colpire le forme di sfruttamento. In altre parole, la persona adulta che sceglie, volontariamente e senza intermediari, di vendere prestazioni sessuali non commette reato e non è perseguibile. Restano punite, invece, tutte le condotte che configurano sfruttamento (anche indiretto), favoreggiamento, reclutamento e induzione alla prostituzione altrui.
Quindi in breve, la prostituzione è ancora disciplinata dalla Legge n. 75/1958, che ha molte lacune:
- La prostituzione in sé, esercitata in forma autonoma, non è reato e ricade nella sfera della libertà personale tutelata dalla Costituzione (articoli 2 e 13).
- È vietato, e penalizzato, lo sfruttamento, il favoreggiamento, l’induzione, la gestione di locali a fini di prostituzione e ogni forma di intermediazione, anche priva di profitto.
- La legge italiana punisce anche condotte apparentemente “neutre” come l’affitto di locali sapendo che verranno usati da altri per esercitare prostituzione.
- Non esiste una regolamentazione sanitaria, amministrativa o fiscale della prostituzione “in sé”, anche se l’attività non è perseguita a livello penale se svolta individualmente.
Codice Ateco e controsensi: le escort esistono solo per il fisco?
Nel 2025 c’è stata una prima svolta, se vogliamo definirla così. Il codice ATECO “96.99.92”, è una classificazione creata per identificare attività come “servizi di incontro ed eventi simili”, nel cui ambito vengono esplicitamente citati servizi di escort e sex work.
L’ISTAT precisa che la creazione del nuovo codice risponde a una direttiva europea che impone la mappatura anche delle attività economiche informali o non tradizionali. Il nuovo codice consente, formalmente, a chi eroga servizi di accompagnamento, incontri tra adulti o agenzie di speed dating, di aprire partita IVA, dichiarare i redditi e regolarizzare la posizione fiscale.
L’introduzione di questo codice genera però una grande contraddizione, perché le attività di intermediazione, organizzazione di eventi o gestione di locali riconducibili alla prostituzione, pur previste dal codice, restano vietate e penalmente perseguite secondo la legge italiana.
L’attività autonoma di escort/sex worker non è reato e può essere fiscalizzata, mentre quella di agenzia o intermediazione o gestione di locali di prostituzione, benché inserita nella classificazione Ateco, è illegale e costituisce reato di sfruttamento o favoreggiamento.
Paradosso: lo Stato da un lato ammette la possibilità di regolarizzazione fiscale del lavoro sessuale autonomo, dall’altro rimane fermo nel proibire ogni tipo di organizzazione, tutela collettiva o intermediazione, collocando ancora oggi la persona che si prostituisce in un limbo di semi-legalità priva di diritti collettivi.
I siti di annunci sono legali in Italia?
La giurisprudenza italiana ha affrontato ripetutamente il tema della liceità dei siti di escort, tracciando una distinzione netta tra semplice pubblicazione di annunci e attività che possano integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione.
Secondo un consolidato orientamento della Corte di Cassazione, la mera creazione e gestione di un sito di annunci per escort non è di per sé illecita, equiparandola alla pubblicazione di annunci sui quotidiani tradizionali: si tratta infatti di una prestazione assimilabile a un normale servizio di inserzione pubblicitaria.
La Cassazione, nelle sentenze n. 26343/2009 e n. 4443/2012, ha stabilito che il gestore del portale non può essere perseguito penalmente per favoreggiamento se si limita a ospitare gli annunci inseriti autonomamente dalle escort, senza svolgere alcuna attività aggiuntiva o collaborazione specifica con le stesse.
Le escort, a loro volta, devono essere libere e autonome nella registrazione ai portali e nella gestione del proprio profilo. In questa prospettiva, anche i ricavi pubblicitari tramite banner sui portali non rappresentano sfruttamento della prostituzione, a meno che non si accompagni a un coinvolgimento più diretto nel procacciare clienti o nell'organizzare l’attività delle lavoratrici sessuali.
Tuttavia, il quadro legislativo si complica quando alla semplice pubblicazione si affiancano attività ulteriori quali: la selezione di fotografie, la gestione di servizi fotografici, la consulenza nella stesura degli annunci, la fornitura di servizi organizzativi o convenzioni con hotel e appartamenti. In tali casi la giurisprudenza ha riconosciuto la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione, rilevando che si tratta di una cooperazione concreta per agevolare l’attività.
Ad esempio, in una nota sentenza del 2012, la Cassazione ha precisato che il reato si configura quando vi sia una “cooperazione concreta e dettagliata, volta a rendere più allettante l’offerta e a facilitare l’approccio tra la prostituta e il cliente”.
In conclusione, la giurisprudenza dei tribunali italiani ha fissato dei criteri piuttosto chiari: la gestione “passiva” di siti di escort non comporta responsabilità penale, ma ogni intervento attivo che supera l’ambito della semplice pubblicazione può integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione.
Quale futuro per il sex work in Italia?
Negli anni successivi alla promulgazione della Legge Merlin, numerosi tentativi di riforma hanno animato il confronto parlamentare e sociale: si sono susseguite proposte di riapertura delle case chiuse, proposte di criminalizzazione dei clienti e suggestioni di regolamentazione “in stile tedesco o olandese”, senza però mai arrivare a un vero superamento della cornice tracciata nel 1958.
Anche le normative europee non sono uniformi. L’unica posizione caldeggiata è quella della lotta alla tratta e della riduzione delle ambiguità all’interno delle regolamentazioni. In otto Paesi, tra cui Germania, Paesi Bassi, Austria e Grecia, la prostituzione è legale e regolamentata, con obblighi fiscali, sanitari e restrizioni territoriali (come i “quartieri a luci rosse”).
In altri Paesi, come Svezia, Norvegia e Francia, è adottato il cosiddetto “modello nordico”, che punisce il cliente ma non chi si prostituisce, nel tentativo di ridurre la domanda e combattere lo sfruttamento. L’Italia, invece, resta ancorata a un modello proibizionista con forti elementi abolizionisti, senza una regolamentazione positiva della professione.